Nel caso in cui decorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni ed il decesso, lasso di tempo comunque non inferiore a 24 ore, agli eredi è riconosciuto il cosiddetto danno biologico terminale.
Con la voce “danno biologico terminale” deve intendersi la compromissione della salute patita dal soggetto danneggiato nell’intervallo di tempo che decorre tra le lesioni ed il decesso.
Sin dal 2015 tale tipologia di danno ha trovato pieno riconoscimento con una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e, nel 2018, l’Osservatorio del Tribunale di Milano ha ritenuto doveroso predisporne una tabellazione ad hoc.
In una recentissima pronuncia, intervenuta nell’ottobre 2020, la Corte di Cassazione ha ulteriormente delineato i confini di tale voce di danno, accogliendo la richiesta risarcitoria avanzata dagli eredi del danneggiato, richiesta che era stata rigettata dai giudici di secondo grado.
In particolare la Corte ha specificato che, laddove intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni ed il decesso (nel caso in esame il motociclista era deceduto a distanza di due giorni dal sinistro rivelatosi poi fatale), deve essere riconosciuto iure hereditatisil danno biologico terminale ossia il danno alla salute in senso stretto patito dal danneggiato, a cui può aggiungersi il danno morale da lucida agonia, nell’ipotesi in cui il danneggiato, nel percepire l’imminenza della morte, abbia subito una fortissima sofferenza psicologica.
Relativamente al danno biologico terminale, la Corte di Cassazione ha precisato che sussiste per sopravvenienze superiori alle 24 ore- soglia minima prevista per il riconoscimento in ambito medico legale dell’invalidità temporanea- senza che possa avere rilievo alcuno il fatto che il danneggiato risulti o meno cosciente.
Per quanto concerne, invece, il danno morale da lucida agonia è essenziale che la vittima abbia avuto coscienza della propria fine imminente, con un onus probandi alquanto stringente, da provare caso per caso.
(Ordinanza n.21508/2020 depositata il 6.10.2020 Corte di Cassazione, sez. VI civile)